Vi avevamo già accennato delle origini del ristorante e del nuovo concetto di cibo come realtà sociale ma è solo con la fine del XIX secolo che la ristorazione si lega al turismo dando vita alle strutture alberghiere.
L’affermazione vera e propria del fenomeno si ebbe quando a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa per svago, piacere e divertimento, non fu più solo l’alta aristocrazia ma la borghesia dei vari stati nazionali.
L’albergo di lusso
Da questo momento in poi il ristorante d’albergo deve offrire un servizio all’altezza dei suoi ospiti, con un pasto eccellente e un menu vario, per evitare che gli stessi siano costretti ad allontanarsi dalla struttura in cerca di un luogo di ristoro. Nascono così gli alberghi di lusso, dove tutto deve essere perfetto: dalle camere alla tavola, dal servizio al ricordo dell’esperienza che porta con sé il cliente stesso.
Il patto di ferro tra albergo di qualità e ristorante di qualità, di cui Cesar Ritz può essere considerato, a ragion veduta, il primo emblematico rappresentante con il suo Grand Hotel di Montecarlo – la cucina del quale coinvolse uno tra i migliori chef nonché esperti di gastronomia del momento, Auguste Escoffier – seppur comune ad Austria, Inghilterra e Francia, non abbraccio l’Europa intera. L’Italia ne rimase fuori, lo avreste mai detto?
Il caso italiano
Il caso italiano è ben diverso e aiuta a comprendere le origini di un tabù che ancora oggi fatichiamo a scrollarci di dosso: noi italiani non andiamo a mangiare nei ristoranti d’albergo con la stessa disinvoltura con cui ci rechiamo altrove, in qualsiasi altro luogo di ristoro. È vero, la situazione sta cambiando, ma sfido chiunque a trovare un italiano che dia per scontati gli elevati standard qualitativi della cucina alberghiera.
Saremo di bocca buona e difficilmente accontentabili, d’accordo, ma il motivo del pregiudizio non è da trovare nel nostro carattere capriccioso ma piuttosto in un fatto storico quanto mai comprovato: le radici della cucina nostrana sono popolari e non hanno niente a che vedere con l’alta cucina di corte. Il ristorante d’albergo non ha bisogno di soddisfare i suoi ospiti né di deludere le loro aspettative perché questi ultimi di pretese proprio non ne hanno: il ristorante d’albergo è solo un ripiego, è di bassa qualità e ci si va solo a patto che non vi sia trovato nulla di meglio girovagando nei dintorni del proprio punto di soggiorno.
La rivoluzione della ristorazione alberghiera in Italia.
È solo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta anni che le cose cominciano a cambiare per mano – non vorrei deludere i più nazionalisti – proprio di un grande cuoco tedesco, Heinz Beck, alla guida del ristorante La Pergola*** del Rome Cavalieri Waldorf Astoria Hotel. Da luogo sconosciuto a simbolo di una cucina dove la perfezione tecnica fa a gara con la freschezza e l’eccellenza delle materie prime utilizzate, La Pergola oggi è una tra le mete più ambite (e inarrivabili! per tempi di attesa e costi) da professionisti del settore e amanti gourmet, oltre ad essere ormai da anni in cima alle classifiche delle principali guide di ristoranti.
Beck ha dato il via a una vera rivoluzione, quella che segna l’inizio anche in Italia della grande cucina d’autore negli alberghi di lusso. Un fenomeno che oggi sembra inarrestabile, soprattutto a Milano. L’ultima e più recente conferma ci viene offerta proprio da Davide Scabin, con l’inaugurazione il 19 novembre dei due suoi nuovi format all’interno del JHotel: Tàola Restaurant e Tàola Lounge.
E non finisce qui, perché la lista dei grandi cuochi italiani che stanno rivoluzionando la cucina d’albergo è lunga. Anche fuori dai confini nazionali, dove diversi cuochi italiani hanno scelto di esportare la propria cucina, stringendo accordi con importanti brand di lusso. Un caso su tutti: il Ristorante, format realizzato ad hoc da Niko Romito e replicato in diversi alberghi della catena Bulgari Hotel.
Ristorazione e turismo: un matrimonio d’amore?
Giunti a questo punto la domanda che mi faccio è: può un ristorante d’albergo diventare un traino per l’intera struttura? I dati sopra sembrano tracciare una tendenza in forte crescita, suggerendoci una risposta affermativa.
Chi ci dice però che non valga il ragionamento contrario? Volendo riflettere sull’argomento da un altro punto di vista, infatti, non è da escludere l’ipotesi in cui sia l’albergo ad assorbire i costi del ristorante, riuscendo a tenere in vita un’attività altrimenti non sostenibile. Una cosa è certa però: anche quando il ristorante non riesce a incidere direttamente sull’aumento del fatturato complessivo, genera comunque un ritorno positivo per la struttura alberghiera. Il suo forte potere attrattivo riesce a intercettare anche un pubblico esterno, fatto di turisti ma anche degli abitanti della città. Benefici? Un aumento della visibilità e della promozione del marchio e una possibile fidelizzazione della clientela.
Il ristorante, insomma, si rivela sempre più utile alla crescita, all’affermazione e al successo di un hotel. I caratteri di dinamismo e flessibilità (di orari ma anche di spazi dilatati) tipici del mondo ristorativo – così come la garanzia di interculturalità che lo stesso acquista, una volta calato nel contesto dell’hospitality – ben si prestano all’attuale esigenza di rinnovamento del settore alberghiero, che si esprime attraverso una sempre maggiore personalizzazione dell’esperienza.
Insomma, seppur giungendo da strade diverse, alberghi e ristoranti si ritrovano oggi a condividere la sfida più difficile: accontentare un cliente sempre più esigente e pretenzioso, difficile da stupire ed emozionare, senza perdere la propria identità nel tentativo di replicare vecchi modelli e cliché passati di moda. Chissà che unendo le forze non si arrivi alla formula vincente.