A piazza Campo de’ Fiori a Roma sono le sette di sera di un martedì qualunque. Di solito piena di persone, ogni giorno, di turisti che si fermano per cena in uno dei tanti locali che si affacciano sulla piazza o di ragazzi e lavoratori appena usciti dall’ufficio, pronti per l’aperitivo. Adesso questa piazza è quasi deserta. La gente passa velocemente dai vicoli per tornare a casa, i bar continuano il loro tentativo di “acchiappo” per un drink veloce o un menù degustazione…
Sembriamo tutti spaventati, nervosi, presi da una fretta che non ha nulla a che vedere con la solita corsa metropolitana tipica della capitale.
Sarà l’isteria mediatica della scorsa settimana la causa di tutto?
Ci siamo chiesti come hanno fatto in tanti, ma con l’occhio di chi da sempre lavora nel mondo del food, quanto di questa mal gestita informazione, che ha portato anche nella capitale una quarantena quasi imposta, abbia inciso sui dati degli ultimi giorni nel nostro settore. Circa un 40%/50% in meno di clienti in tutti i ristoranti, non solo quelli del centro città e delle zone turistiche, ma anche in zone periferiche di Roma. Un locale in zona EUR ci racconta che registra un 40% in meno di incassi. Un ristoratore a Parioli ci confida solo un lieve calo. È chiaro allora che va fatta un’“anatomia” più attenta nella mappa romana del calo del lavoro, che può anche essere un interessante studio sociologico. Vediamo meglio: indubbiamente i più toccati sono gli operatori nell’ambito del travel, aeroporti e stazioni, chi opera in centro città con una clientela prevalentemente turistica e tutte quelle aree in cui ci sono aziende che stanno applicando lo Smartworking (zone di uffici e non di studi di professionisti), che limitano quindi i profitti dei locali nella fascia mattina-pranzo.
La sensazione è che, nel resto della città, tutti i locali perdano presenze, anche se in maniera meno netta, e il discorso è ancora più valido per tutti quei locali che da sempre faticano a ingranare la marcia, per i quali questo può essere un momento particolarmente complicato. Alcune realtà che ho fin qui raccontato, nella situazione attuale, possono sopravvivere non più di qualche settimana se non si applicano delle scelte ben pensate.
L’isteria, la cattiva comunicazione che vive di fake news e la corsa all’ultima notizia a tutte le ore, può far tanto soprattutto nel nostro settore, anche in zone non colpite direttamente dal dramma attuale. La comunicazione ha il potere enorme di smuoverci dal divano o di farci rinchiudere socialmente, e in questo periodo la situazione è un po’ sfuggita di mano. Ha avuto l’effetto valanga di chi spruzza spray urticante ad un concerto, seminando il panico ovunque.
Nulla possiamo quando altri paesi sconsigliano una visita in Italia, ma possiamo sicuramente continuare a fare la nostra normale vita, con le dovute attenzioni del caso. Mentre in città come Milano, come Codogno, in Emilia e nelle altre zone più colpite, capiamo la necessità di far modificare gli orari di chiusura e apertura al pubblico ai gestori di locali e ristoranti, capiamo la paura del contagio e la giusta scelta di isolamento come forma di prevenzione, nel resto d’Italia e del mondo la corsa alla chiusura è solo una leva verso il disagio economico.
I locali nelle zone più colpite dovranno avere un buon controllo di gestione, comprendere le necessità del momento, saper gestire al meglio il personale, creare una banca ore, fare un patto con il proprio staff per affrontare la situazione, e questo tipo di approccio prevede di avere una buona e chiara organizzazione, sapendola poi controllare. Mai, nella creazione di un Business Plan, si poteva immaginare uno scenario come questo: la chiusura di scuole, aziende, uffici pubblici, metro, inevitabilmente portano a un calo della clientela quotidiana.
Questo è il momento dove bisogna saper coordinare il lavoro, sperando che le istituzioni diano una mano alla ristorazione applicando quella flessibilità di cui, da sempre, ce ne sarebbe un gran bisogno, e non solo nelle aree a turismo stagionale! Forse proprio questa può essere la sfortunata occasione per parlare di contratti di lavoro, che diano a tutti più garanzie e prospettive a tutti i lavoratori del settore.
Tralasciando le zone più colpite, nel resto d’Italia cosa succede? A Roma? Nelle zone poco interessate al dramma del Coronavirus, la mancanza di clientela, la chiusura della gente in casa e la corsa alle spese folli di viveri, è un fatto attribuibile soprattutto a quel bombardamento comunicativo di cui parlavamo più sopra, che causa ansia e paura del contagio, quando il rischio è messo sotto controllo. Il risultato? Stiamo attenti a dove andiamo, preferiamo non allontanarci dal nostro quartiere, evitiamo i luoghi di aggregazione e cuciniamo i pasti in casa perché sappiamo da dove provengono i prodotti e chi ci mette mano.
Ed è proprio qui che nasce una riflessione spontanea. Questa attenzione, quasi maniacale, su ciò che facciamo, chi incontriamo, su ciò che mangiamo, dov’è nella vita di tutti i giorni? Ci poniamo le stesse domande quando dobbiamo scegliere il prodotto da acquistare o il ristorante in cui cenare il sabato sera?
Se è vero che la nostra salute dipende da ciò che mangiamo – “L’uomo è ciò che mangia” direbbe Feuerbach – perché non ci curiamo di più di noi stessi nei momenti in cui dovremmo, ovvero sempre? Non ci viene qualche sospetto quando mangiamo all’infinito, in posti qualsiasi o finti asiatici, verdure, carne e pesce e paghiamo poco più di 10€. Il nostro consiglio è smetterla di farsi trasportare dagli eventi, ma scegliere consapevolmente cosa sia il meglio per noi, ogni giorno.
Per fronteggiare questa crisi, un ristorante di Roma e delle altre zone italiane meno interessate dal dramma oggi può solo farsi avanti con la propria proposta di food autentica, attenta, genuina. E noi? Smettiamola di avere paura. Informiamoci su cosa vediamo, mangiamo, scegliamo ogni giorno. Non solo oggi.
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Per un approfondimento su questo tema ascolta l’intervista di Dario Laurenzi a Radio Roma Capitale.